
Ugo Marano. Le stanze dell’utopia - Madre, Via Settembrini, 79 - Napoli
Mostra
in corso dal 16 marzo al 31 maggio 2023
Il Madre presenta una mostra di Ugo Marano
che propone oltre quaranta opere: sculture,
installazioni, disegni, dipinti e libri d’artista dalla fine degli anni Sessanta al
2010.
Comunicato stampa della Mostra Ugo Marano. Le stanze dell’utopia
Il Madre, museo d’arte contemporanea della Regione Campania, presenta
Ugo Marano Le stanze dell’utopia, a cura di Stefania Zuliani e Antonello
Tolve.
La mostra, fortemente voluta anche dal Presidente della Regione Campania
Vincenzo De Luca, propone oltre quaranta opere, tra cui una – Papà non c'è
(1987) – mai esposta al di fuori della casa-studio di Capriglia: sculture,
installazioni, disegni, dipinti e libri d’artista dalla fine degli anni Sessanta al
2010 danno vita ad un vero e proprio racconto del lavoro di Marano, declinato
attraverso le linee guida che hanno orientato la sua attività. Un percorso di arte
e di pensiero che ha riconosciuto nell’utopia la sua forza e il suo movente, non
strutturato secondo ordine cronologico né in base ad una selezione per
tecniche e materie, ma scandito in sette sezioni, in sette idee di Casa, Corpo,
Tempo, Arte, Scrittura, Natura, Legame.
Il lavoro di Ugo Marano testimonia uno stretto legame con la natura, matrice
stessa del suo agire artistico, la cui energia metamorfica non viene
rappresentata tal quale, ma tradotta e restituita nella sua vitalità. Non c’è una
tecnica privilegiata per questa traduzione di energia, per la messa in concetto e
quindi per la messa in forma della continua metamorfosi naturale. Nel 1969
Marano ha scelto ad esempio la ceramica (arte regina) per ricreare l’orizzonte
instabile del mare dando vita al primo antipavimento, e tante volte nel corso
degli anni ha continuato ad affidare alla ceramica il suo racconto marino: la
musicale sequenza di Onde (1981) qui esposta ne è prova lampante.
La ceramica diviene testimonianza anche del rapporto dell’artista con il
territorio e con alcuni elementi della sua tradizione: sono ricorrenti, infatti,
opere che rimandano all’esperienza dei Vasai di Cetara e a Rufoli, terra di
argille pregiate dove la cottura della terracotta è un’arte e un rito collettivo,
come racconta il Museo Città Creativa di Ogliara che proprio in Marano ha
avuto il suo ispiratore. In mostra sono presenti alcune opere che rimandano
alla sua ricerca condotta sul vaso, parte di una ben più ampia serie che l’artista
ha realizzato agli inizi degli anni 2000.
Altro elemento ricorrente, ben riconoscibile nel percorso espositivo, è la sedia,
emblema di una visione dell’arte che non tende ad ottenere un facile risultato
ma a elaborare senza sosta nuove strategie di vita e di pensiero: e del resto «i
conti con le idee si fanno da una sedia scomoda. Le poltrone rendono le idee
soffici: è l’inganno della poltrona».
La scrittura, il segno che diviene disegno e parola sulla pagina bianca o sulla
superficie dell’opera, accompagna tutto il percorso di Ugo Marano. L’esercizio
della scrittura ha per l’artista un valore almeno duplice, rappresentando sia il
momento di analisi delle ragioni e delle procedure che conducono all’opera sia
lo spazio di un’invenzione libera, giocosa, a volte ironica ma sempre poetica.
Due momenti che non si escludono a vicenda e che spesso convivono nello
stesso testo: gli scritti dell’artista, è stato Filiberto Menna a sottolinearlo
presentando nel 1972 il lavoro di Marano alla galleria Schneider di Roma,
offrono certo «la chiave per capire più in profondità i disegni e le sculture», ma
aprono anche a più ampi orizzonti di senso, creando scenari visionari o
restituendo tracce di incontri ed esperienze di vita.
Che si sviluppi nelle pagine spesso quadrate e minute dei tanti libri realizzati in
edizioni artigianali e volutamente povere, fogli fotocopiati e piegati con cura,
dove alla copertina segue talvolta una pagina d’amore e non di tipografico
rispetto, o che s’incida con pazienza nella materia, come accade nell’opera Papà non c’è (1987), abbraccio di parole e di umile terra che tuttora accoglie i
visitatori della casa studio di Capriglia, la scrittura è per Marano l’occasione di
un dialogo necessario.
Nel suo appartato procedere, la ricerca di Ugo Marano non ha mai rinunciato
alla condivisione dell’esperienza e del pensiero. Le sue due case sono state nel
corso degli anni crocevia di incontri e fabbriche di connessioni, cantieri di idee
che hanno costruito legami, connessioni, partecipazioni. Lo Psicocesso (1978),
realizzato nei grandi spazi dello studio di Capriglia è, in questo senso, opera
esemplare. Si tratta di un dispositivo di relazione che insieme all’artista ha
messo alla prova numerosi ma sempre scelti partecipanti (tra gli altri, Tomaso
Binga e Filiberto Menna) chiamati a mettere in gioco se stessi in un momento
da sempre privato: una sfida, una forzatura che rompe gli schemi e costringe ad
una rischiosa comunione. A chi si avvicina alla sua opera Marano richiede
un’assunzione di responsabilità, proponendo un lavoro di lenta cucitura e
contestualmente uno sforzo di congiunzione di cui Ego strumento è insieme
immagine e risultato, persino manifesto, grazie alle riflessioni che vi si
avvolgono in sinuosa scrittura.
Note dei curatori: Nel corso della sua vita di pensatore e di creatore dell’arte
Ugo Marano (Capriglia di Pellezzano, 9 febbraio 1943 | Cetara, 15 ottobre
2011) non ha mai rinunciato alla radicalità dell’utopia, «concepita come
semplice realtà quotidiana», come forza di trasformazione, come legame fra le
persone con la natura, che della sua ricerca è sempre stata modello e
riferimento.
Attraverso materie e linguaggi differenti, di volta in volta scelti seguendo
ragioni intime e occasioni esistenziali, l’artista – amava definirsi radical
concettuale utopico – ha tracciato un percorso che muovendosi fuori dagli
itinerari più frequentati ed esposti, ha mantenuto salda la fiducia nella capacità dell’arte di intervenire poeticamente nella vita modificandone gli orizzonti
privati e le prospettive collettive.
Rivoluzionario e paziente, il gesto obliquo di Ugo Marano ha ridisegnato lo
spazio dell’abitare, la dimensione della città e del paesaggio mantenendo
intatta l’attenzione rispettosa ai processi naturali o mostrando una precoce
sensibilità per quei temi (oggi pressanti) dell’ecologia, che è etimologicamente
discorso della dimora.
Proprio la casa, intesa come luogo di accoglienza e di amicizia, come spazio
della relazione e della creazione, ha avuto un ruolo determinante nella sua
ricerca: le stanze che dalla roccia si sporgono sul mare dell’abitazione condivisa
con Stefania e con i figli a Cetara, e ancor più le antiche sale della villa di
Capriglia, sulle colline salernitane, dove Marano ha creato un atelier in cui
hanno trovato occasione di incontro e di dialogo architetti, artisti, critici, poeti
e pensatori, hanno nel corso degli anni accolto con complicità il lavoro
dell’artista, di cui ancora testimoniano la presenza con opere e installazioni
site-specific.
Profondamente coerente pur nel continuo mutare dei linguaggi e delle forme,
l’opera di Marano è frutto di una consapevole intenzione progettuale sempre
messa alla prova di un sapere delle mani costantemente coltivato. Dopo gli
studi all’Accademia del Disegno presso la Reverenda Fabbrica di San Pietro a
Città del Vaticano e all’Accademia del Mosaico a Ravenna, l’artista ha
approfondito la conoscenza della ceramica, cui si avvicina già alla fine degli anni
Sessanta guardando con interesse alla tradizione della ceramica di Vietri sul
Mare, della quale ha raccolto e reinterpretato l’eredità dando vita
all’esperienza del Museo Vivo (1971) e poi animando il gruppo dei Vasai di
Cetara negli anni Novanta.
Accanto alla ricerca sulla ceramica, il suo lavoro ha
affrontato tempestivamente le istanze di rinnovamento che hanno segnato la
scena artistica italiana e internazionale fra gli anni Sessanta e Settanta, periodo
in cui utilizza la lamiera di ferro per sculture che non si sottraggono alla
corrosione del tempo partecipando ai turbamenti della vita naturale. In questo giro d’anni partecipa alla Quadriennale di Roma (1975) e alla Biennale di
Venezia (1975) e alla Triennale di Milano (1979). Nei decenni successivi l’artista
ha proseguito la riflessione sui luoghi di produzione dell’arte creando il
progetto della Fabbrica felice e ispirando il Museo Città Creativa, istituito a
Rufoli di Ogliara nel 1996, anno in cui realizza a Salerno la Fontana Felice,
esempio di un interesse per l’arte pubblica che lo porterà alla fine degli anni
Novanta a rileggere il paesaggio e le storie del Parco del Cilento e del Vallo di
Diano in collaborazione con l’economista Pasquale Persico. Esperienze diverse
delle quali l’artista stesso ha confermato l’irrinunciabile respiro utopico nei suoi
tanti scritti, al confine tra poesia e teoria.
Informazioni utili per la visita
Orari: Lunedì, Mercoledì, Giovedì, Venerdì e Sabato
dalle 10.00 alle 19.30.
Domenica
dalle ore 10.00 alle ore 20.00.
La biglietteria chiude un’ora prima.
Biglietti: intero: € 8, ridotto €
4, ridotto gruppi prenotati € 4.00. Gratuito bambini fino a 6 anni.
Telefono: +39.081.19737254
E-mail: info@madrenapoli.it
Sito web: Madre |